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October 15, 2023

Cannabis e cancro: la marijuana può aiutare i malati oncologici?

Il termine marijuana denota un composto di foglie e infiorescenze derivanti dalla cannabis sativa, pianta che contiene due sostanze attive che negli ultimi anni sono entrate nel vocabolario comune, il tetracannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD): da un lato la prima ha effetti psicoattivi, stupefacenti e (sebbene in misura minore rispetto ad altre droghe) crea dipendenza, e la sua commercializzazione libera è per questo vietata; dall’altro, il CBD non crea dipendenze né sonnolenza e lo si può per ciò trovare nelle normali erboristerie, nelle farmacie e in molte altre forme liberamente commercializzate. Questo perché i suoi effetti sono stati studiati per trattare malattie del sistema nervoso, quali l’epilessia, la sclerosi multipla, le lesioni del midollo spinale, la fibromilgia e la sindrome di Gilles de la Tourette, oltre ad avere dimostrati effetti antidepressivi.
Per quello che invece riguarda il cancro, le ricerche finora svolte sono state condotte con cellule di coltura, come riportato dal sito ufficiale dell’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro): gli studi hanno evidenziato un’attività citostatica, ovvero di rallentamento della crescita cellulare.
Effetti più “tangibili” sono quelli dell’accelerazione metabolica e dell’aumento di appetito, oltre al sollievo dalla nausea, che sono estremamente apprezzati da malati oncologici che affrontano le controindicazioni di radio e chemioterapia. In una delle sue forme più attive a livello farmacologico, la delta-9-THC, la marijuana è considerata dalla FDA nordamericana uno strumento efficace contro i distrubi derivanti dal cancro e le controindicazioni da trattamenti chemioterapici. Per questo e per le altre motivazioni elencate, l’American Cancer Society ha caldamente invocato alla semplificazione dell’iter necessario a prescrivere i derivati cannabinoidi ai pazienti affetti da cancro.

Cosa dicono gli studi clinici? #

A dare indicazioni più chiare è la dottoressa Cristina Sánchez, professoressa di biochimica e biologia molecolare presso l’ateneo Complutense di Madrid, in passato segretaria scientifica della Società spagnola di ricerca sui cannabinoidi e attualmente membro del suo consiglio direttivo. Inoltre, la dottoressa è stata tra i fondatori dell’Osservatiorio Spagnolo della Cannabis Medicinale, di cui è adesso segretaria. La Sánchez sta conducendo un’importante ricerca sul ruolo del sistema endocannabinoide nel trattamento dei malati oncologici.
Innanzitutto, c’è da definire quali sono i due obiettivi nell’uso della cannabis da parte dei pazienti oncologici:

  • ottenere sollievo dagli effetti delle terapie oncologiche, quali radio e chemioterapia
  • combattere l’avanzamento del tumore.

Riguardo al primo caso, è stato già ampiamente dimostrato con studi clinici che il THC combatte gli effetti collaterali più comuni dei trattamenti chemioterapici, quali nausee e perdita di appetito, che sono spesso motivo di resa da parte dei pazienti, che preferiscono abbandonare le cure. Inoltre, la cannabis presenta anche altre proprietà molto utili ai malati di cancro: essa ha infatti effetti analgesici, ansiolitici e di conciliazione del sonno.
Per quanto concerne invece l’utilizzo della marijuana per contrastare la crescita delle cellule tumorali, studi clinici che hanno riportato una certa efficacia sono stati condotti solo in coltura o su animali, mentre non esistono per ora esperienze cliniche in ambiente controllato sull’essere umano. Cionondimeno, considerando che l’assunzione della marijuana non presenta effetti collaterali gravi, si sta diffondendo sempre di più tra i medici la pratica di prescrivere i cannabinoidi ai propri pazienti, per entrambi gli obiettivi sopra elencati.

Gli studi finora condotti su animali e cellule in coltura hanno dimostrato che un approccio complementare (terapia antitumorale convenzionale unita all’assunzione di cannabinoidi) può essere più efficace dei due trattamenti presi singolarmente. Infatti, la ricerca ha dimostrato che i cannabinoidi rafforzano l’azione di molti degli agenti chemioterapici, che inibiniscono la crescita e il moltiplicarsi delle cellule tumorali: ad esempio, il cannabinoide HU-210, se agisce da antagonista all’elemento del DNA 5-FU, ha indebolito le cellule di un cancro colorettale, come anche la combinazione tra il gruppo alchilico temozolomide e il delta-9-tetraidrocannabinolo ha rallentato la crescita tumorale in un glioblastoma.
Altre ricerche si sono invece concentrate sulle terapie radioterapiche: in questo caso, l’azione dei cannabinoidi ha dimostrato di poter rendere le cellule tumorali più sensibili alle radiazioni a cui vengono esposte per essere “eliminate”.

Il caso Sativex #

L’unico studio clinico ad oggi condotto (ma ancora non pubblicato) disponibile per l’analisi dell’effetto combinato cannabis-terapia antitumorale, è quello condotto tra Regno Unito e Germania per testare l’efficacia della combinazione tra il farmaco cannabinoide Sativex (contenente all’incirca la stessa quantità di THC e CBD) e l’agente antitumorale temozolomide su pazienti con glioblastoma ricorrente.

L’importanza delle precauzioni #

Come già ribadito, quello dell’uso dei cannabinoidi sui pazienti oncologici è una strada ancora poco battuta dalla medicina: per questo motivo, è importante rivolgersi al proprio medico prima di prendere qualsiasi decisione sull’assunzione della marijuana in associazione alla classica terapia tumorale.

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